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3 Settembre 2024
Conosciamo Luca Falbo
Luca mentre sta segnando

Abbiamo intervistato Luca Falbo, specializzato in pedagogia per la disabilità e la marginalità, oggi disability manager e interprete LIS, da sempre CODA.

Chi è l'interprete LIS, in cosa consiste il suo lavoro?

Potrei dare tante definizioni, soprattutto ora che il ruolo è riconosciuto in Italia a livello legale e dalle amministrazioni. Dopo che è stata riconosciuta la LIS, nel 2021, è stato appunto riconosciuto anche il ruolo dell’interprete. Un evento molto importante dal punto di vista della dignità professionale

In modo forse un po’ banale potrei dire che l’interprete è un ponte: presta le mani a una voce e presta una voce a delle mani. Un lavoro complesso e faticoso. Avere la mente concentrata ore e ore in una traduzione è stancante. 

Per preparare il servizio di interpretariato di un seminario è necessario studiare. Questo è uno degli aspetti più affascinanti del mio lavoro: studiare cose che non hai avuto l’opportunità di studiare nel tuo percorso accademico.

Oggi esistono tante associazioni di categoria e ci sono più interpreti in nuovi ambiti. Quando ero piccolo poche persone sorde andavano all’università. Oggi assistiamo al cambiamento sociale, le persone sorde sono di fatto più attive in ambiti in cui prima, per esempio i miei genitori, non lo erano.

spettacolo teatrale con interpretariato
Cos’è l’accessibilità per te?

Dare l’opportunità a tutti di essere veramente parte del processo. Ciò significa fare crescere la società molto di più. Stiamo diventando un paese sempre più accessibile, anche se non siamo ancora ai livelli che vorrei. Un po’ alla volta ci arriveremo. 

Credo che l’Italia abbia vissuto di assistenzialismo sul welfare familiare e lo vediamo ancora adesso. Non è un fatto completamente negativo, però penso che una società possa crescere se tutte e tutti sono inclusi nel processo di cambiamento. L’accessibilità è un diritto, se te lo devo chiedere è un favore e non un diritto.

Come dice lo scrittore Tom Shakespeare l’accessibilità totale è un’utopia. Si può fare sempre qualcosa di più. Coinvolgere attivamente le persone con disabilità – e con competenze specifiche – nel percorso di raggiungimento dell’accessibilità è fondamentale per andare nella giusta direzione. Ci sono ancora forti reticenze in Italia su questo, manca la cultura.

Siamo una società che sta invecchiando e certe soluzioni sarebbero utili a chiunque. I sottotitoli sono nati per le persone sorde, ma sono utili anche per imparare una nuova lingua, sono utili a persone dislessiche oltre che a persone anziane. 

Però se dico che una rampa serve anche a una mamma con il passeggino, sto togliendo l’attenzione dal fatto che in quel luogo deve poter entrare una persona sulla sedia a rotelle.

Come dice lo scrittore Tom Shakespeare l'accessibilità totale è un’utopia. Si può fare sempre qualcosa di più.
La sottotitolazione è sufficiente per rendere un’iniziativa accessibile?

Le persone sono tutte diverse e ogni testa è un piccolo mondo. Può non bastare. 

Comunque credo che la sottotitolazione dovrebbe farla una persona che ha studiato. Non sono contro lo sviluppo tecnologico, ma è innegabile che se c’è una mente umana a scegliere, sulla base di un background di studio, è meglio. Ci si accorge subito se i sottotitoli sono fatti da una mano consapevole oppure da un computer, perché la persona fa scelte linguistiche pensate, mirate e secondo le regole della sottotitolazione che puntano a dare il concetto, il senso e l’emozione.

Per esempio si discute molto della sottotitolazione quando c’è della musica. Cosa scrivo? C’è chi mette una nota, chi scrive cosa trasmette quella musica, altri citano lo strumento. 

L’uso dei sottotitoli semplificati non l’ho mai appoggiato. Quando noi udenti vediamo un film e c’è una parola che non conosciamo tendenzialmente la cerchiamo, perché non dare la stessa possibilità a una persona sorda? 

Attraverso i sottotitoli devo dare la possibilità a chiunque di porsi delle domande. Questo fa crescere una persona. Se semplifico tutto, perché per alcuni concetti ci può essere un riadattamento, rischiamo di togliere la possibilità di domandarsi cosa vuol dire. Lo stesso vale per l’interpretariato.

libri scolastici sulla lis
Qual è il primo suggerimento che daresti a una persona per rendere un’iniziativa accessibile?

Guardare a ciò che è stato fatto. Ci sono tantissime esperienze di persone che hanno realizzato eventi accessibili. Vai e chiedi a chi ha già fatto, senti cosa ha aiutato e cosa no nei progetti. Si presta sempre attenzione a ciò che è andato bene, raramente mi sono seduto a un tavolo di lavoro e ho sentito dire cosa è andato storto. 

È matematicamente impossibile che sia andato sempre tutto bene! Quello che ti fa crescere è sia l’esperienza positiva, ma anche l’errore. Siamo una società performativa, quando sbagli ti senti il dito puntato. L’errore mi aiuta a crescere e, se ho fatto un errore che ritengo tale, la prossima volta starò più attento e rimedierò.

Sbaglia, sbaglia ancora, sbaglia meglio. L’errore ci sta, è umano. In qualunque cosa si faccia qualcuno si scoccerà. L’accessibilità totale non esiste.

Pensiamo a quanto è cambiato il nostro modo di parlare. Adesso bisogna stare molto attenti alle parole. Abbiamo fatto anche delle scelte discutibili, come l’asterisco e lo schwa che non sono accessibili per chi usa lo screen reader e questo può essere un problema. 

Mi è capitato di tradurre un relatore che ha cominciato il suo discorso dicendo “Buongiorno a tutti, a tutte e a tuttu”. Mi sono trovato davanti a un problema, perchè nella Lis “tutti” non ha un genere. Se avessi salto il “tuttu” non avrei fornito un’informazione. Il relatore ha fatto una scelta linguistica e gli udenti hanno potuto dire “hmm interessante” oppure “che brutto”,  hanno potuto fare delle riflessioni. Anch’io devo dare la possibilità di fare le stesse riflessioni a una persona sorda. Quindi ho scelto di segnare “tutti” – che è neutro – e ho specificato maschi, femmine e ho segnato la “u” labializzandola bene. 

L’interprete fa inevitabilmente delle scelte. Mi hanno insegnato che devo il più possibile farlo senza omettere, modificare, stravolgere o aggiungere. 

In quell’occasione mi sono presa la mia responsabilità e credo sia importante che venga fatto, anche nei sottotitoli.

L’accessibilità è un diritto, se te lo devo chiedere è un favore e non un diritto.
Vorremmo ci parlassi della tua esperienza da CODA.

La prima associazione nasce negli Stati Uniti, poi si è diffusa in tutto il mondo.

Nel 2014 alcune ragazze – che non ringrazierò mai abbastanza – hanno deciso di fondare CODA Italia. Si è deciso di mantenere la sigla americana Children of Deaf Adults, cioè figli udenti che nascono in una famiglia di persone sorde.

L’idea è che la persona udente nasce in un contesto culturale linguistico molto diverso dalla società esterna. Non avevo mai saputo di CODA fino al primo incontro a Roma ed è stata un’esperienza folgorante. Finalmente ero in una stanza piena di persone che non mi hanno giudicato, né compatito.

Alcuni udenti mi dicevano “poverini i tuoi genitori hanno bisogno di te, sono sordi e non hanno altri mezzi”. In mezzo ci stavo io che non potevo scegliere. 

Per la prima volta in quella stanza non sono stato giudicato. Una sorpresa essere capiti, scambiarsi esperienze. 

Ho fatto un sondaggio tra i CODA e c’è chi è diventato interprete, assistente alla comunicazione, caregiver. Non è un caso se la maggior parte ha scelto un lavoro di cura in senso ampio.

Da quando ho cominciato a fare domande ho scoperto che c’è una grande differenza generazionale tra i CODA. Possiamo distinguere CODA pre-tecnologia, CODA a cavallo e CODA che possiamo definire tecnologici. Nel 1984 o 85 è arrivato il D.T.S. (Dispositivo di Telecomunicazione per Sordi) e questa tecnologia ha influito sulla vita e sul ruolo dei CODA. La tecnologia ci è venuta incontro.

Quello che non è cambiato è che a un certo punto nella vita da CODA ci si domanda: perché io posso parlare entrambe le lingue e vivere entrambe le culture, mentre tutte le persone udenti non possono? In adolescenza ti accorgi che non sei sordo come i tuoi genitori e al contempo hai un’esperienza diversa dai tuoi coetanei udenti. Cominci a fare le tue scelte di vita, non solo accademiche. 

I CODA di adesso, che hanno a disposizione tutta la tecnologia del mondo, hanno dei livelli di frustrazione più bassi. Porsi delle domande farà sempre parte dei CODA e non è una questione tecnologica e di strumenti, è una questione di essere.

Sono contento che oggi ci siano molti più interpreti, vuol dire che i figli non sono più costretti a farlo. Anche se l’Italia sotto questo aspetto è a macchia di leopardo. In Lombardia ci sono molti interpreti e quando lo sono diventato anch’io ho scelto di non farlo più per i miei genitori, per una questione etica e professionale. Mi rendo conto però che se vivi in un paesino sei ancora costretto a farlo.

Oggi mi batto perché un CODA non debba più subire quello che la società mi ha obbligato a fare. Oggi capita ancora che i figli facciano da interpreti ai genitori in assenza di un servizio pubblico.

Lo Stato deve intervenire e mettere interpreti a disposizione per tutto ciò che tocca la dignità della persona sorda. Basta, i sordi non devono più pagare. L’accessibilità è un diritto, non te lo devo chiedere, me lo devi dare. Altrimenti è un favore. 

Dobbiamo batterci, come società. Anche tu che leggerai questa intervista, se vedi un’ingiustizia del genere intervieni e unisciti alla protesta. Chiamate gli interpreti, perché è un diritto.

luca mentre parla a un seminario
una navicella verde su sfondo blu e la scritta culturaccessibile

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