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7 Giugno 2024
Conosciamo Mattia Airoldi
Donna sdraiata su pedana sensoriale

Condividiamo l’incontro con Mattia Airoldi – musicista, musicoterapeuta, docente e vice Presidente di Associazione Culturale Fedora – che ci ha introdotte al mondo delle esperienze sonore accessibili: tutto ciò che concerne la sfera del suono quando incontra l’esigenza di essere resa accessibile.

Chi è e cosa fa il sound facilitator?

Questa categoria, in realtà, non credo esista in un formato standardizzato. È un’etichetta apposta a un lavoro che ho iniziato a fare nel 2018. Sound facilitator per me vuol dire applicare un medium sonoro-musicale a servizio dell’accessibilità, con il fine di aumentare la partecipazione a qualsiasi forma culturale. Ecco, questo è il senso più profondo, ma anche più pratico, del suond facilitator.

Questa pratica si sviluppa, per quello che mi riguarda, nell’ideazione e nella creazione di format che possono essere ex-novo, creati dal nulla, oppure applicati a performance altrui per renderle accessibili dal punto di vista sonoro. Ciò viene attuato, per esempio, utilizzando dispositivi di realtà aumentata, come le pedane sensoriali. Serve un occhio di riguardo alla strumentazione che viene utilizzata, perché alcuni strumenti possono risultare più accessibili rispetto ad altri. Ci si impegna nel pratico a trovare, per ogni situazione, un risultato positivo corrispondente, con le relative attenzioni a quali tessuti sonori vengono ogni volta utilizzati.

Persone sdraiate su pedane sensoriali
Cosa sono le pedane sensoriali?

Possiamo descriverle come dei materassi, da una piazza e mezza, di legno, per mezzo dei quali si può rendere più accessibile il suono grazie alle vibrazioni che vengono percepite attraverso il corpo. Fondamentalmente sono delle casse. A livello tecnico funzionano come degli altoparlanti con cui può riprodurre qualsiasi tipo di elemento sonoro-musicale. 

La superficie di legno è abbastanza ampia da consentire a tutto un corpo umano, anche due o a tre corpi di stare sdraiati contemporaneamente sulla pedana. Questo è importante, perché corrisponde a un ascolto corporeo

Alfredo Di Gino Puccetti è l’ingegnere che ha brevettato questa tecnologia. La pedana è stata progettata in modo che potesse vibrare soprattutto su alcune frequenze per trasdurre il suono in una modalità inedita, quantomeno per un ascolto corporeo.

Quando hai cominciato ad usare le pedane?

Era proprio il 2018 quando ho cominciato ad usare le pedane sensoriali. Associazione Culturale Fedora mi chiese di pensare a una performance o a un’installazione, per il suo primo festival.

In quel contesto mi immaginai di andare ad esplorare quelle che sono le nostre prime memorie sonore e cognitive, cioè il tessuto sonoro e musicale che ci accompagna nella vita prenatale, nella pancia della mamma.

Ho immaginato un soundscape, un paesaggio sonoro, che potesse in qualche modo replicare tutti quei suoni che sono all’interno dell’utero. In primis il battito cardiaco della mamma, il suono che ci rende degli esseri geometrico-musicali, affezionati alle ripetizioni. Volevo ricreare questo stato primordiale in cui ogni persona è stata avvolta e così suggerire un’esplorazione di sé.

Questa installazione l’ho chiamata “In Utero” ed era corredata da una sorta di “pancia” realizzata in legno, in cui chi partecipava doveva entrare carponi, accovacciandosi all’interno di questa struttura rivestita in tulle, un materiale molto leggero. 

Da allora ho iniziato ad indagare il rapporto sonoro con le pedane sensoriali e sono stati veramente numerosi i format prodotti attraverso le pedane.

Più si va avanti, più si impara a conoscere gli strumenti, perché ogni strumento chiaramente ha i suoi pro e i suoi contro, ha le sue possibilità e i suoi limiti. Sperimentare lo strumento è importante per avere nuovi feedback. 

uomo sdraito su pedana sensoriale ascolta le parole di Mattia
Ci racconteresti un'esperienza passata che è stata significativa per te?

Uno dei progetti ai quali sono più affezionato si chiama “Quadri Sonori” e si può descrivere come una trasposizione audio di un’opera d’arte. L’ultima volta, presentata all’Ecomuseo Adda di Leonardo, in provincia di Milano, era la veduta di un paesaggio del fiume Adda, tra Milano e Bergamo, risalente al 1700. Questa scena bucolica è anche abitata da dei personaggi: si vedono delle donne che tornano dal lavoro di lavandaie, dei barcaioli, dei contadini. 

Il mio tentativo, attraverso dei suoni che ho registrato in prima persona o d’archivio, è stato quello di creare un soundscape in grado di raccontare quel quadro. Un lavoro molto personale che mi ha portato nei territori a registrare dei suoni e creare questo output per il quadro. 

Il passaggio successivo è stato quello di immaginare questo tipo di composizione sfruttando una soundwalk collettiva che potesse fare esattamente quello che ho fatto io da solo, però con un gruppo di persone, che ha diverse sensibilità e diversi tipi di ascolto. Raccogliere vari materiali e processarli insieme si è rivelato per me molto interessante.

Più si va avanti, più si impara a conoscere gli strumenti, perché ogni strumento chiaramente ha i suoi pro e i suoi contro, ha le sue possibilità e i suoi limiti. Sperimentare lo strumento è importante per avere nuovi feedback. 
Cosa sono le passeggiate sonore?

La pratica della soundwalk – o passeggiata sonora, passeggiata in ascolto (può assumere tanti nomi) – consiste nella realizzazione di esperienze che nel mio caso si pongono come dei momenti di educazione all’ascolto del soundscape (del paesaggio sonoro). Sono delle passeggiate in cui si invita chi partecipa a prestare grande attenzione al senso dell’udito e, più in generale, alla sfera del sentire. 

In queste passeggiate si raggiunge uno stato attivo basato sul paesaggio sonoro attraverso alcuni esercizi, quasi di meditazione, ispirati, nel mio caso, alle pratiche del deep-listening di Pauline Oliveros. Tutto quello che poi è la parte della raccolta dei suoni, che si chiama field recording, quindi raccolta sul campo dei suoni registrandoli e analisi di questi suoni, per me metodologicamente arriva dagli studi di Raymond Murray Schafer, che è fondamentalmente la persona a cui dobbiamo la definizione di inquinamento acustico. 

Le finalità del soundwalk possono essere diverse: esperienze dedicate a un benessere generale o a un’integrazione del sé con gli altri, perciò anche molto indirizzate verso un fine sociale.

Ti è capitato di lavorare con artisti o artiste con disabilità?

Sì, mi è capitato di lavorare con performer e artisti sordi o ciechi. Per esempio, la prima edizione di Progetto Zoe con Associazione Fedora: un progetto indirizzato ai più piccoli come invito alla lettura e alla scrittura. 

In quel contesto collaboravo insieme a un performer sordo-segnante, Fabio Zamparo (su Instagram The Deaf in Wonderland). Io mi occupavo anche lì della parte sonora: creare una sorta di soundscape accessibile per queste fiabe, queste storie; poi c’erano degli attori udenti in scena che leggevano la stessa storia e Fabio che la performava non solo in lingua dei segni, ma anche attraverso le sue capacità attoriali.

Mattia, seduto a terra con cuffie e indossa una maglietta nera
una navicella verde su sfondo blu e la scritta culturaccessibile

Progetto curatoriale di Eleonora Reffo e Maddalena Sbrissa

Digital marketing Gabriela Chiric

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