Lo abbiamo chiesto a Giulia Gazzo, detta Lunny – donna di 37 anni, cisgender e queer, femminista intersezionale, autistica adhd e discalculica.
In poche parole l’abilismo è la discriminazione e l’oppressione nei confronti delle persone disabili, ma per capirlo appieno è necessario approfondire.
Quando parliamo di persone “abili” (le persone che abbiamo l’abitudine di definire “normali”) ci riferiamo a delle abilità che riguardano il corpo come la mente, le caratteristiche fisiche e motorie come quelle intellettive ed emotive considerate “normali”, che rientrano cioè in un concetto di norma statistica.
Utilizzo un esempio basico: statisticamente la maggior parte delle persone possiedono l’abilità di camminare con due gambe, ma una minoranza (seppur numerosa) di persone necessita invece di rampe per potersi muovere su ruote e superare per esempio dei gradini.
L’abilismo presuppone che chi necessita di rampe sia “un peso e una seccatura” che minaccia la società, con la conseguenza che gli edifici dotati di rampe e ascensori, ancora oggi, non sono considerati un diritto.
Non è finita qui. L’abilismo designa la persona disabile come carente e inferiore, la infantilizza e la condanna alla subordinazione; una persona sfortunata che diventa fonte di ispirazione spronando le persone “normali” ad eccellere.
Per mantenere lo status quo è molto più conveniente non mettere in discussione nulla e dividere la società in persone di serie A e di serie B.
L’abilismo interiorizzato non è altro che l’accettazione e l’interiorizzazione di tutto questo. Succede che la persona disabile si abitui a questo stato di cose, si consideri inferiore e abbia paura che chiedendo maggiori diritti possa perdere quello che ha.
L’abilismo interiorizzato ti porta a scusarti costantemente, perché percepisci la tua esistenza come un errore e una seccatura, di conseguenza il senso di colpa è sempre lì pronto a morderti le chiappe.
Progetto curatoriale di Eleonora Reffo e Maddalena Sbrissa
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